giovedì 31 ottobre 2013

A Milano una classe interamente digitale

Lara fa partire il programma: lezione di matematica. Abigail estrae il pennino dal tablet. Sul piccolo schermo che ha davanti, Leonardo mette in colonna i numeri che la maestra detta, a voce alta. Silvia scrive e spiega: il 6 nella colonna delle centinaia, il 7 in quella delle decine, il 4 nelle unità. Micaela inizia la sottrazione. E dal suo tablet, il risultato dell’operazione «migra» alla grande lavagna elettronica appesa alla parete. È il taglio del nastro: la lezione inaugurale, davanti a un pubblico importante, della terza elementare della Enrico Toti di Milano. Una «scuoletta» - dice la dirigente scolastica, Elena Borgnino - del quartiere Ortica, al confine con il comune di Segrate. È la prima classe interamente digitale di «Smart Future», il progetto promosso da Samsung per favorire l’e-learning nelle scuole primarie e secondarie di primo grado.
La classe della scuola milanese di via Cima è dotata di tablet per tutti i 26 alunni e di una lavagna elettronica (donati alla scuola dall’azienda coreana), sulla quale l’insegnante può caricare i contenuti delle lezioni, condividerli con gli studenti, realizzare attività di gruppo, effettuare quiz e verifiche. Il tutto, monitorato e controllato: l’insegnante può bloccare alcune funzionalità dei tablet e addirittura spegnere tutti i dispositivi in automatico. Oppure promuovere la condivisione impostando la modalità «lavoro in gruppo». Nelle classi che verranno via via attrezzate (25 entro la fine del 2013 in Lombardia, Liguria, Puglia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo), sarà possibile gestire le lezioni e il calendario, i profili degli studenti, i voti da mostrare ai colloqui con i genitori.
Obiettivo «favorire lo sviluppo di competenze che facilitino l’inserimento dei giovani in un contesto lavorativo sempre più competitivo», ha detto Barlocco. Ma anche lavorare sull’integrazione: le scuole scelte per il progetto hanno tutte un alto numero di alunni con disabilità, o con disturbi specifici dell’apprendimento; si trovano di preferenza in territori «difficili» per composizione sociale, culturale o economica; oppure sono piccoli plessi, nei quali la tecnologia potrebbe portare un contributo per lezioni «a distanza» che eviterebbero accorpamenti e chiusure. 

Università, allarme matematica:"Ragazzi impreparati per i test".

Matematica, questa sconosciuta. Per molti studenti è stata la vera e propria bestia nera dell’esame di Stato. Adesso, è un incubo che ritorna per chi si presenta ai test di settembre tentando l’ammissione ai corsi universitari. Una emergenza che rappresenta un ostacolo quasi insormontabile per uno studente su due. Ma gli atenei cercano di venire incontro alle aspiranti matricole con le maggiori lacune in algebra e aritmetica, offrendo corsi e precorsi di matematica in tutte le salse.

Alla Bicocca i dipartimenti più impegnati su questo fronte sono quelli di Scienze e di Economia. In entrambe queste aree, infatti, per accedere ai corsi è necessario svolgere un test di valutazione della preparazione personale (VPI) dove quella di matematica è una parte essenziale. A Economia si organizzano dei corsi frontali della durata di 21 ore ciascuno, spalmati tra agosto e settembre, oltre a periodiche attività di tutorato. «Ai nostri test — spiega Massimo Saita, presidente della scuola di Economia e statistica — generalmente passa il 50 per cento degli studenti. Il punto critico è senza dubbio la matematica, anche se il livello di difficoltà è da quarta liceo». I più preparati sono i giovani che provengono dai licei classici e scientifici, «mentre chi arriva dagli istituti tecnici, ovvero la metà degli iscritti alle prove, ha difficoltà maggiori».
Discorso simile per quanto riguarda Scienze. Qui, da quest’anno i corsi a numero programmato
che richiedono il test sono saliti a 6 su 10. «Ci rendiamo conto che quello della matematica è uno dei principali scogli — spiega Andrea Zanchi, presidente della Scuola di Scienze della Bicocca — perché per molti dei giovani che vengono agli open day è una delle principali preoccupazioni. Del resto, è il linguaggio che sta alla base delle materie che studiamo e i nostri studenti devono conoscerla». Per queste prove, la Scuola di Scienze della Bicocca organizza dal 16 al 27 settembre dei corsi intensivi rivolti a tutti coloro che vogliono consolidare la loro preparazione: 3 ore alla mattina con docenti esperti scelti in aula, che fanno ripasso ed esercizi. C’è poi un corso di richiamo, da ottobre a dicembre, consigliato per chi non ha superato la parte di matematica del test.

Accanto alle lezioni frontali, infine, c’è il corso in modalità e-learning, organizzato dal dipartimento di Matematica e applicazioni e disponibile dal 1° agosto con assistenza online. Senza matematica, ma comunque molto impegnativi saranno anche i test per gli altri corsi, in particolare quello per Medicina del 9 settembre. Per gli aspiranti medici (circa 5mila tra Statale e Bicocca) sarà un fine estate sui libri, visto che a fronte del boom di iscrizioni alla prova di ingresso il numero di posti disponibili è rimasto invariato. E soltanto uno su dieci ce la farà a entrare.

venerdì 18 ottobre 2013

“Come sbaglia la scienza”

Sulla copertina di questa settimana della rivista britannica The Economist c’è solo un titolo, scritto a grandi caratteri, che dice “Come sbaglia la scienza”. L’articolo che accompagna la copertina è una severa critica di come sono organizzati i sistemi di revisione e pubblicazione delle ricerche scientifiche: sono diventati caotici, imprecisi e devono essere cambiati per permettere alla ricerca stessa di cambiare, dice l’Economist.
Molte scoperte “sono il risultato di esperimenti di scarsa qualità e di analisi mediocri”. Uno dei problemi è che oggi molte di queste difficilmente possono essere replicate da altri scienziati, e la riproducibilità di un esperimento è alla base del metodo scientifico moderno. Viene citato l’esempio di una società che fa ricerca nelle biotecnologie, e che ha scoperto di poter replicare con precisione solo 6 studi su 53 sul cancro. Altri ricercatori dell’azienda farmaceutica Bayer non sono potuti andare oltre la riproduzione di circa un quarto di 67 studi scientifici già pubblicati. Si stima che tra il 2000 e il 2010 abbiano partecipato a trial clinici circa 80mila pazienti per ricerche che si sono poi svelate inesatte e piene di errori.
È estremamente raro che simili disguidi portino a danni per chi partecipa ai trial clinici, ma le ricerche condotte male costano comunque un sacco di soldi e sottraggono risorse ad altri studi, svolti con maggiore accuratezza. Il problema generale, spiega l’Economist, è in parte dovuto alla crescente concorrenza in ambito scientifico. Dopo la Seconda guerra mondiale, la comunità scientifica era grossomodo costituita da poche centinaia di migliaia di ricercatori: ora si stima che in tutto il mondo ci siano tra i 6 e i 7 milioni di persone impegnate nella ricerca. Chi viene pubblicato sulle riviste scientifiche aumenta le probabilità di essere assunto da qualche grande istituto, con l’opportunità di ottenere contratti molto redditizi.
Il carrierismo, dice l’Economist, incentiva l’esagerazione dei risultati delle ricerche, o la scelta deliberata di mettere in evidenza alcune prove nei paper scientifici nascondendone altre. Per tutelarsi ed essere sicure di avere le esclusive più importanti, le principali riviste scientifiche del mondo tendono a essere sempre più selettive e interessate alle sole scoperte di grande portata. Queste ultime hanno altissime probabilità di essere pubblicate, mentre scoperte laterali, ma altrettanto importanti per l’avanzamento della ricerca, restano in secondo piano e finiscono per essere dimenticate o del tutto trascurate.
Inoltre, le riviste scientifiche danno sempre meno spazio agli studi che falliscono nel dimostrare con la pratica la teoria da cui erano partiti. I risultati “negativi” delle ricerche sono solo il 14 per cento dei contenuti pubblicati sulle riviste scientifiche, nel 1990 la percentuale era pari al 30 per cento. Sapere che cosa è falso, in ambito scientifico (e non solo) è importante quanto conoscere ciò che è vero. “Il fallimento nel dar conto dei fallimenti significa che i ricercatori sprecano denaro e sforzi per esplorare vicoli ciechi di cui si sono già occupati altri scienziati”.
L’articolo di copertina dell’Economist sostiene anche che si è sostanzialmente rotto il “peer review” (“revisione paritaria”), il meccanismo secondo il quale i risultati di una ricerca scientifica devono essere verificati da scienziati estranei a quello studio per provarne l’affidabilità, prima di essere pubblicati. Un’importante rivista medica ha fatto un test, proponendo a un gruppo di revisori alcune ricerche nelle quali erano stati inseriti volutamente degli errori. I revisori non li hanno trovati tutti, nemmeno quando gli è stato detto che il compito a loro assegnato era un test.
Per aggiustare la ricerca scientifica, l’Economist propone di rivedere molti meccanismi, a partire da quello dell’analisi numerica e statistica delle ricerche. Analizzando tendenze e particolari andamenti tra i risultati degli studi scientifici si potrebbero trovare nuove soluzioni, più affidabili: qualcosa di simile è accaduto negli ultimi anni nella ricerca genetica, esempio che dovrebbe essere seguito in altri ambiti. Una maggiore trasparenza e accessibilità ai dati degli esperimenti, sfruttando Internet e le banche dati, aiuterebbe a ridurre il numero di ricerche che si occupano delle stesse cose e contribuirebbe a fare ordine.
Parallelamente, le riviste scientifiche dovrebbero tornare a pubblicare con maggiore costanza le ricerche che hanno fallito nel provare le teorie di partenza. E il meccanismo di “peer review” dovrebbe essere integrato con un sistema di analisi successivo alla pubblicazione, cui possano partecipare i ricercatori attraverso commenti e forum in rete. Un sistema simile è già adottato da tempo negli studi matematici e in quelli che riguardano la fisica, con diversi successi.

La conclusione dell’Economist:
La scienza gode ancora di un enorme – talvolta confuso – rispetto. Ma il suo status è basato sulla capacità di avere ragione la maggior parte delle volte e di sapere correggere i propri errori quando sbaglia qualcosa. E l’Universo non è certo privo di misteri tali da tenere impegnate generazioni di scienziati. Le piste false dovute alla ricerca di bassa qualità sono un imperdonabile ostacolo alla comprensione delle cose del mondo.