venerdì 28 febbraio 2014

L'impiegato dell'anno fa sognare un bambino...

Un bambino di 7 anni perde un giocattolo LEGO e scrive al servizio clienti dell'azienda una lettera dolcissima.

La LEGO risponde in modo geniale.

Luka Apps è un bambino fanatico della LEGO (come lo siamo stati tutti da bambini e lo siamo ancora oggi nei casi più gravi) e con un cognome strano.



Luka aveva risparmiato per comprare il set LEGO NinjaGo.
Ma un giorno perde uno dei personaggi del set.

E scrive questa lettera su suggerimento del padre:

Ciao.
Il mio nome è Luka Apps ed ho 7 anni. Con tutti i miei risparmi di Natale mi sono comprato il kit NinjaGo del Predatore Ultra Sonico. Il numero è il 9449. E’ davvero molto bello. Papà mi ha portato da Sainsbury e mi ha detto di lasciare i personaggi a casa ma io li ho portati con me ed ho perso Jay ZX al negozio perchè mi è caduto dal cappotto.
Sono davvero dispiaciuto d’averlo perso. Papà mi ha detto di spedirvi una mail per vedere se è possibile averne un altro.
Prometto di non portarlo mai più al negozio se me lo spedite.
Luka


La risposta del servizio clienti di LEGO è geniale ed è questa:

Luka,
Ho detto al sensei Wu che la perdita di Jay è stato solo un incidente e che mai e poi mai avresti fatto in modo che si ripetesse.

Mi ha quindi incaricato di dirti:”Luka, tuo padre sembra davvero una persona molto saggia. Devi sempre proteggere i tuoi personaggi NinjaGo come i draghi proteggono le armi di Spinjitzu!”.

Il Maestro Wu mi ha anche detto che va bene spedirti un nuovo Jay e di aggiungerci anche un piccolo extra perchè chiunque risparmi tutti i suoi soldi di Natale per comperare il Predatore Ultrasonico deve essere davvero un grande fan di Ninjago.
Quindi, spero ti godrai il tuo Jay con tutte le sue armi.
Avrai in realtà l’unico Jay che combina 3 differenti personaggi in uno !
Ti spedirò anche un cattivo con cui farlo combattere!
Solo ricorda ciò che ti ha detto il Maestro Wu : proteggi i tuoi personaggi come le armi di SPinjitzu e dai sempre retta al tuo Papà.

L'autore si chiama Richard ed è appena diventato l'impiegato dell'anno alla LEGO e nei nostri cuori.
Dimostrando che si può essere piccoli eroi e anche ottimi operatori del servizio clienti. E viceversa.
Richard come servizio clienti di Lego non solo ha rispedito il pezzo al bambino ma lo ha anche fatto sognare.

Una Ceres gratis a chi ha "votato" Renzi...

Una Ceres gratis a chi ha "votato" Renzi: La birra danese ironizza sul nuovo governo italiano.



"Una Ceres Gratis a tutti quelli che hanno votato Renzi alle ultime elezioni politiche" recita così l’headline della nuova campagna della birra danese Ceres.
L’unico problema è che, come ben sapete, non ci sono state elezioni.

Ergo, nessuna birra per nessuno. Così la Ceres si prende gioco del popolo italico che, suo malgrado, non ha scelto questo governo ma "se l’è beccato" come una banale influenza stagionale.

Sembra un disastro naturale, ma...

Sembra un disastro naturale, ma questi Orrori sono frutto dell’uomo.
Da quando si sono intensificati i combattimenti in Siria, questo campo profughi è diventato più simile a una prigione.

Un'immagine forte di residenti Yarmouk in attesa di distribuzione di cibo dalle Nazioni Unite:



Yarmouk si presenta come una zona sismica, gli edifici sono ormai gusci con lastre irregolari di calcestruzzo e gesso appeso dai piani.

Ci sono migliaia di rifugiati in coda per il cibo, l'Onu deve lottare ogni giorno per effettuare ogni consegna.

Questa è una catastrofe umana nata da un conflitto dove il cibo è un'arma di guerra…

Qualcosa deve drasticamente cambiare qui, perché questi non assomigliano nemmeno lontanamente ai sacrosanti diritti umani.

giovedì 27 febbraio 2014

Orgoglioso di lui...

Nelle sue passeggiate pomeridiane, un bambino di Manila portava da mangiare ai cani randagi nei quartieri più poveri della città.
Il padre, ignaro dei luoghi in cui si recava, lo segue e scopre la verità. Curioso di scoprire dove andasse ogni pomeriggio suo figlio, lo segue durante la sua passeggiata pomeridiana e scopre con gran sorpresa che dentro lo zaino che il bambino portava con sé c’era del cibo per sfamare i cani randagi nei quartieri più degradati della città.
Il padre del bambino, è rimasto più che stupito dalla bontà di suo figlio.



L’uomo, ha dichiarato: «La prima volta che ho visto quegli animali sono rimasto disgustato. Ma mio figlio non sembrava essere intimorito, li avvicinava, li sfamava e li carezzava».

mercoledì 26 febbraio 2014

La città sommersa dal lago Qiandao

Ben nascosta dalle acque del lago Qiandao si cela una città sommersa, una vera e propria ‘Atlantide cinese‘, il suo nome é Shi Cheng, che possiamo tradurre con La città del leone, o Lion City. La città non é antichissima, fu abitata fino al 1959, ma il paesaggio subacqueo che offre ai visitatori risulta davvero straordinario, visto che si trova all’interno del “Lago delle mille isole“, tra ventisei e quaranta metri sotto la superficie dell’acqua. La zona è considerata già di per sé una forte attrazione turistica, grazie all’incredibile bellezza del paesaggio, e ovviamente la presenza di una città sommersa da lago Qiandao rende questo posto quasi unico al mondo, già meta di appassionati del genere.

martedì 25 febbraio 2014

Il buon matematico si riconosce da lattante

Il senso intuitivo e preverbale della quantità nella primissima infanzia è predittivo sia del senso non simbolico di numero sia dell'abilità matematica simbolica esibita negli anni successivi. E' la conclusione a cui è giunta una ricerca condotta da psicologi della Duke University a Durham e della Johns Hopkins University a Baltimora.
E' indubbio che l'educazione e l'ambiente siano fattori di prima grandezza nel incoraggiare e plasmare le abilità matematiche, ma è ancora oggetto di dibatto se e quanto la capacità unicamente umana di sviluppare e manipolare concetti matematici astratti sia influenzata da abilità numeriche di base presenti fin dalla prima infanzia.



Queste abilità sono rappresentate da quel senso della numerosità, filogeneticamente molto antico e presente anche negli animali, che permette di valutare a colpo d'occhio che una fila di cinque alberi, per esempio, è più numerosa di una di tre, e per il quale non serve conoscere il nome dei numeri né alcuna loro rappresentazione simbolica.
I ricercatori hanno preso in esame un gruppo di 48 bambini di sei mesi di età per misurare l'acutezza del loro senso preverbale del numero. A questo scopo hanno usato un metodo standard che consiste nel mostrare una serie di immagini che riproducono un numero variabile di grossi punti e registrare per quanto tempo lo sguardo del piccolo si sofferma su ciascuna di esse.
Le immagini nuove sorprendono e inducono a fissarle per un tempo maggiore di quello dedicato a immagini note. Se un'immagine con cinque punti viene fissata più a lungo (quindi trattata come nuova) dopo una serie di immagini con quattro punti, questo indica che il piccolo è in grado di distinguere fra quattro e cinque.
Tre anni dopo questo test, lo stesso gruppo di bambini è stato sottoposto a nuovi test per valutarne la capacità matematica simbolica, la padronamnza dei nomi dei numeri, il senso numerico primitivo, e l'intelligenza generale.
L'analisi dei risultati ha confermato che una maggiore acutezza del senso del numero preverbale manifestato a sei mesi di età corrispondeva a una maggiore padronanza e capacità di manipolazione dei numeri a tre anni, indipendentemente dal livello di intelligenza generale. Secondo i ricercatori, questo suggerisce che il senso della numerosità già presente nella primissima infanzia rappresenta un importante “mattone” per la costruzione delle successive capacità matematiche.

lunedì 24 febbraio 2014

Sicurezza e privacy, basterà il corpo...

CI vorrà ancora un po' di tempo. Soprattutto per migliorare la tecnologia, alzando quell'85 per cento di accuratezza nei risultati: soglia buona ma di certo non ancora paragonabile all'affidabilità di sistemi biometrici più avanzati come la scansione dell'iride, la lettura dell'impronta digitale (ormai anche su tutti gli iPhone 5S con il Touch ID) o il più recente riconoscimento facciale, al centro di diverse polemiche soprattutto per i Google Glass. Stiamo parlando dell'odore corporeo. Parametro identificativo che, secondo un team di ricercatori dell'Universidad Politécnica di Madrid, potrà essere presto sfruttato come inedito tassello di una carta d'identità costituita solo da ingredienti personali e biologici. Il gruppo di scienziati sta lavorando al nuovo sistema, in grado di filtrare e riconoscere le persone in base al profumo che emettono, insieme all'azienda hi-tech iberica Ilía Sistemas. La scommessa è isolare e dunque individuare in modo più sicuro possibile la firma odorosa da cui ciascuno di noi è caratterizzato. Dandole un nome e un cognome. Pare infatti che gli schemi individuali di questo tipo rimangano costanti nel corso del tempo e possano dunque costituire un elemento chiave per identificare le persone. Soprattutto in quei contesti, come i controlli di sicurezza, in cui possa essere opportuno evitare interventi troppo diretti e invasivi sugli individui in transito, come appunto la scansione dell'iride o la lettura delle impronte digitali, ancora caratterizzate da un alone vagamente criminoso. Al momento, il tasso di riconoscimento si aggira appunto intorno all'85 per cento. Per gli studiosi spagnoli è già sufficiente per iniziare a pensare, come stanno appunto facendo, a sistemi d'identificazione meno aggressivi. Lo snodo, insomma, sta nella precisione dei sensori a disposizione. Che non hanno ancora raggiunto l'accuratezza del prodigioso apparato olfattivo dei massicci bloodhound. Fino alla ricerca spagnola, che ha messo in campo un sistema sviluppato dalla Ilía in grado di acciuffare elementi volatili presenti nella propria firma odorosa. I rischi, però, non sono pochi: l'odore del corpo può variare nel corso del tempo. Basti pensare a malattie, cambi nel regime alimentare e, ovviamente, l'umore, la fase di crescita, l'età, il clima. E poi rimangono le difficoltà nella realizzazione di un database altrettanto affidabile ed esteso da non risultare inutile o limitato: come campionare in maniera scientifica l'odore, per esempio, dei milioni di abitanti di un Paese? Quest'intricata selva d'incognite non sembra aver spaventato i ricercatori iberici - raccolti intorno a un campo di indagine più ampio emblematicamente battezzato Emoción Proyect e dedicato al benessere dei cittadini - che hanno messo sotto la lente tredici persone per ben 28 sessioni di studio. Il risultato? Oltre ogni attesa: è stato infatti riscontrato solo il 15 per cento di errore nell'identificazione e associazione dei vari schemi odorosi alle legittime fonti. Cioè alle persone. Molto di più che un punto di partenza: una prova che ben presto, ovunque ci sia da tutelare la sicurezza, potremo trovare dei varchi di super nasi elettronici (nell'industria si usano da anni, sono in fase di sviluppo per medicina e monitoraggio ambientale da quasi vent'anni) in grado di identificarci in qualche frazione di secondo. E a quanto pare non c'è deodorante che tenga. Non basta. L'università sta infatti collaborando anche con l'ospedale universitario Infanta Sofía di Madrid su alcuni progetti ufficiali di ricerca legati all'analisi delle caratteristiche del sangue e del respiro nei pazienti. Presto in grado - con un sistema simile - di individuare indizi che conducano alla diagnosi precoce del cancro al colon e della leucemia.

Filoni di pane e pagnotte trasformati in lampade

La ventisettenne Yukiko Morita ha due passioni apparentemente inconciliabili: il pane e le lampade di design. Ma Yukiko è riuscita a combinare le due cose, creando una sua linea di prodotti dove pagnotte e filoni di pane sono trasformati in lampade. I suoi prodotti si chiamano pampshades da Pan (che è il termine giapponese per pane) e lamp shades (lampade da tavolo), e sono nati un po’ per caso: quando era all’università stava giocando con una baguette mangiandone tutta la mollica ma lasciando la crosta intatta. Quando poi ha guardato controluce quel che rimaneva, le è venuta l’idea.



Trovare la formula perfetta non è stato facile, ed ha richiesto oltre 300 prototipi per mettere a punto la tecnica con cui realizzare queste insolite lampade, che sfruttano piccole lampade a led (probabilmente sarebbe impossibile creare questi prodotti con normali lampadine ad incandescenza): fortunatamente per un po’ ha lavorato in un panificio ed ha così avuto facile accesso alla materia prima. Quello che inizialmente era un hobby, adesso si sta trasformando in un lavoro: le lampade di Yukiko sono molto apprezzato per come colorano di caldo l’ambiente e per l’unicità di ogni pezzo.

venerdì 21 febbraio 2014

Morso da uno squalo: si ricuce da solo la gamba..... e poi va a bersi una birra

Un giovane neozelandese, il ventiquattrenne James Grant, era appena entrato in acqua in una baia ad Invercargill quando uno squalo lo ha morso ad una gamba. Grant, che si stava immergendo per pescare, ha estratto un coltello ed ha iniziato a colpire lo squalo, senza però riuscire a scoraggiare più di tanto l’animale: “Ho cercato di combattere lo squalo. Si è preso qualche coltellata, ma la lama non era abbastanza lunga”. Alla fine però lo squalo ha mollato la presa e l’uomo è riuscito a tornare sulla spiaggia, dove ha tirato fuori la cassetta del pronto soccorso e si è suturato la profonda ferita: fortunatamente, Grant studia medicina, cosa che lo ha aiutato nell’intervento. Poi Grant è stato raggiunto da degli amici, che all’inizio pensavano che scherzasse quando ha raccontato l’accaduto. Gli squali manzo nasolargo, quello che sembra abbia attaccato il giovane, infatti normalmente non attaccano l’uomo, anche se può accadere quando gli animali sono agitati per qualche motivo. Una volta compreso che quello che aveva raccontato Grant era assolutamente reale, i suoi amici hanno accompagnato il ragazzo in ospedale per controllare le ferite. Ma prima hanno fatto tutti una tappa aggiuntiva in un pub… per bersi una birra. Qualcuno sembra avesse suggerito che magari era il caso di andare dopo essere stati in ospedale, ma qualcuno avrebbe fatto notare che si poteva andare sia prima che dopo…

In dieci anni spariti 78 mila studenti

Erano oltre 338 mila nel 2003/2004, sono poco più di 260 mila nel 2013/2014: in barba a tutti gli obiettivi europei, che fissano nel 2020 il traguardo per avere il 40% di laureati, l’Italia arranca. La conferma arriva dall’ultimo aggiornamento dell’Anagrafe degli studenti universitari del ministero dell’Istruzione: non è un dato ancora definitivo, ma anche se difettasse di poche decine di studenti, dà un quadro chiaro dell’attuale débâcle degli atenei, che -invece di acquisire studenti- ne perdono costantemente. I tecnici del Miur fanno notare che quest’anno il calo si è interrotto rispetto agli anni precedenti (novemila in meno rispetto all’anno 2012/2013, meno rispetto al confronto precedente), ma è innegabile: trattasi comunque di emorragia.

UNIVERSITA’ PRIVATIZZATA ?
Un primo allarme era stato lanciato lo scorso anno dal CUN, ma i dati diffusi dal Miur tracciano un quadro ancor più desolante. Il numero dei diplomati nelle scuole italiane rimane costante, ma circa un quarto degli studenti non si iscrive più all’università. «Da anni denunciamo la continua privatizzazione dell’università, intesa non solo come l’ingresso dei privati nella governance degli atenei, ma anche come restringimento dell’accesso ai corsi di laurea. - dichiara Alberto Campailla, portavoce di Link Coordinamento Universitario - Basti pensare che circa il 57% dei corsi di laurea in Italia è a numero programmato. Un trend che di anno in anno aumenta e viene incentivato dallo stesso Miur, nonostante le proteste degli studenti in diversi atenei . E che continua ad allontanare l’Italia dalla possibilità di raggiungere il 40% di laureati entro il 2020, come stabilito a livello europeo».

LE TENDENZE
Non si può dire che gli studenti non seguano le tendenze del mondo del lavoro: se dieci anni fa l’area sanitaria attirava l’11,67% dei diplomati, oggi il dato è in calo, al 10,76%. L’area scientifica invece cresce, dal 28,74% al 35,23%, mentre il sociale tira di meno, dal 39,90% dell’annata 2003/2004 al 35,09% di quest’anno. Più o meno stabile resta solo la fetta di studenti che si orienta verso le facoltà umanistiche: era del 19,69% dieci anni fa, oggi è del 18,93%.Cosa succede allora?«Forse è arrivato il momento di riconoscere che non si tratta di un fenomeno estemporaneo- prova a rispondere Gianluca Scuccimarra, presidente dell’Unione degli universitari - ma di una tendenza gravissima, frutto delle politiche di progressivo scardinamento dell’università pubblica e del Diritto allo Studio».

COLPA DELLA CRISI
A stroncare le aspirazioni degli studenti potrebbe essere stata la crisi economica. Come sottolinea Giuseppe Failla, portavoce del forum nazionale dei giovani (che raccoglie circa 80 organizzazioni e rappresenta 4 milioni di under 35), «negli ultimi 3 anni, il fondo nazionale per finanziare le borse di studio è stato drasticamente ridotto. Nel 2009 i fondi nazionali coprivano l’84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%. Quest’anno, come già nel 2012, sono stati esclusi dalle sovvenzioni quasi 60 mila studenti a fronte dei 35 mila di 5 anni fa. Si verifica frequentemente, pertanto, che molti giovani italiani capaci e meritevoli, pur risultando idonei alla percezione di una borsa di studio nelle graduatorie, non possano usufruire di tale opportunità».

La banda degli onesti... a Tokio

Una ragazza stava camminando per le vie di Nakano, vicino a Tokio, quando si è trovata di fronte un uomo che le ha puntato un coltello addosso intimandole: “Dammi tutti i soldi che hai e nessuno si farà male”. La ragazza ha tirato fuori il portafoglio, consegnando al rapinatore quello che aveva, circa 3.000 yen (pari a circa 22 euro). Qualche secondo dopo, infatti, la ragazza ha chiesto al rapinatore: “Uhm, potresti darmi indietro 2.000 yen? Devo pagare delle bollette”. “Oh, capisco” ha risposto l’uomo, accontentando la ragazza e andandosene via solo con 1.000 yen. La ragazza non sa spiegare perché abbia fatto quella richiesta e neppure perché il rapinatore abbia accettato di restituirle i soldi: difficile dire se fosse stato comprensivo oppure sia rimasto sorpreso dalla richiesta.
La ragazza ha comunque denunciato l’accaduto alla polizia: qualcuno ha suggerito che poteva lasciare perdere la cosa, dato che il rapinatore avrebbe dimostrato di essere una brava persona, ma altri osservano che se davvero l’uomo fosse stato una brava persona, non andrebbe in giro a rapinare la gente.

Facebook: oltre maschio o femmina si potranno scegliere altri generi

Da oggi gli utenti di Facebook potranno scegliere più opzioni per la propria identità sessuale, un'opzione possibile per ora solo agli iscritti della piattaforma statunitense, ma che presto sarà estesa a tutti.



Facebook cerca sempre di essere al passo coi tempi e per questo il social network più famoso del mondo ha deciso di estendere la scelta del proprio genere sessuale ad altre cinquanta opzioni oltre alle più comuni ‘maschio‘ e ‘femmina‘. Le modifiche come annunciato dal social network mirano a dare alle persone più opportunità nel trovare il modo esatto in cui vogliono essere descritte, come ad esempio androgino, bisessuale, intersessuale, transgender o transessuale. Introdotti, fra gli altri, ‘trans donna‘, ‘trans uomo‘, ‘bisessuale‘ e ‘gender questioning‘. La scelta di Facebook arriva infatti dopo anni di richieste di cambiamento da parte di alcuni utenti, che avevano anche inoltrato una petizione tramite una pagina del social network chiamata ‘Facebook Diversity‘. Il gruppo ha anche rivelato di aver lavorato con attivisti Lgbt per poter stilare una lista di generi. Al momento saranno attive solo per le pagine degli Stati Uniti, ma il gruppo di Menlo Park, California, ha annunciato di essere pronto a estenderle anche nel resto del mondo.

Bimba scarta il suo regalo: il papà che non vedeva da 3 anni !

Un video che sta commuovendo il web proviene dagli USA.
Una bambina piccola scarta il proprio regalo con entusiasmo ma non ha idea che dentro ci troverà il padre che non vedeva da tre anni.
La piccola riceve un dono e scartando il pacco con cura… improvvisamente sbuca fuori il suo papà, Joshua Carr, lontano da casa da oltre tre anni, impegnato da tempo in forza alle truppe USA in Afghanistan.
La tenerezza di una bambina quando rivede il padre dopo tutto questo tempo è qualcosa di indescrivibile e nel video ci sono tante immagini che immortalano un momento così dolce e unico.


Ecco il link a questo splendido video Dad in a box

giovedì 20 febbraio 2014

Il MIUR cerca talenti.

Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca va a caccia di talenti, con sfide pubbliche aperte ai cittadini per promuovere l’innovazione in settori che vanno dal Made in Italy all’Education, dall’Energia alla promozione dell’Open Data. Il primo programma di Challenge Prize italiano parte oggi in via sperimentale con l’apertura del sito Talent Italy, su cui è disponibile la prima sfida proposta dal Miur che riguarda l’istruzione e, in particolare, i MOOC (Massive Open Online Course), corsi online aperti, pensati per coinvolgere una grande utenza.
Il progetto Talent Italy, basato su esperienze di Challenge Prize già diffuse in Nord America ed Europa, prevede la creazione di sfide rivolte a ricercatori, studenti e creativi, ma più in generale a tutta la cittadinanza, affinché i partecipanti, proponendo soluzioni inedite, contribuiscano all’avanzamento del livello di ricerca e innovazione. I Challenge Prize premiano il merito e l’eccellenza e incoraggiano la loro diffusione nella società. Viene ribaltata la logica del bando classico: non sono più le idee progettuali ad essere premiate con l’assegnazione di risorse a monte per la loro realizzazione, ma i risultati dei progetti stessi, conseguiti in maniera autonoma e con risorse proprie dei partecipanti. Il premio viene erogato esclusivamente a risultato raggiunto.
Si parte con la prima sfida, quella di progettare e distribuire in pochi mesi un nuovo Massive Open Online Course (MOOC). Al corso che vincerà andrà un premio di 100.000 euro. Sono previsti anche tre secondi premi da 20.000 euro ciascuno. Negli ultimi anni, i MOOC, corsi online aperti ad un numero potenzialmente molto elevato di studenti, si sono affermati in tutto il mondo a partire dagli Stati Uniti come un modo per non limitarsi all’esperienza in aula e raggiungere, in maniera economica ed efficace, autodidatti di ogni tipo: dai lavoratori alle persone con disabilità, dagli abitanti delle aree rurali fino a quelle in via di sviluppo. L’educazione digitale e aperta sarà uno dei temi centrali su cui l’Europa è chiamata a riflettere, anche nell’ambito del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione.
Le proposte per la sfida “Open Education: sviluppo di un MOOC per scuole e università italiane”, dovranno avere precise caratteristiche. Fra queste, accesso gratuito, disponibilità online dei contenuti del corso e di tutti i materiali didattici, possibilità di fruizione su larga scala, verifiche online dei livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti. I lavori, che dovranno essere presentati entro il 3 aprile prossimo, verranno valutati in due fasi: la prima prevede una preselezione da parte di una giuria di esperti nominata dal Miur sulla base del programma didattico del MOOC e delle modalità di fruizione dei contenuti. I responsabili delle proposte ammesse alla seconda fase avranno 6 mesi di tempo per implementare il MOOC e fornire alla giuria elementi che documentino la diffusione, l’apprezzamento del corso e la qualità dei materiali didattici utilizzati. Il lavoro svolto sul progetto Talent Italy ha visto il coinvolgimento dei Rappresentanti italiani che stanno lavorando nei diversi comitati di Horizon 2020, il nuovo Programma Quadro europeo di Ricerca.

Per il New York Times Renzi diventa un Caravaggio...

C’è chi lo paragona a Fonzie di Happy days e chi preferisce un accostamento più colto. Così, per il New York Times, il premier incaricato Matteo Renzi va piuttosto avvicinato al Fanciullo con il canestro di frutta del celebre dipinto caravaggesco.
È questa l’elaborazione proposta sull’edizione internazionale del quotidiano americano, che dedica un fotomontaggio di ispirazione pittorica al segretario del Pd, ricordando che il giovane Renzi è destinato a «creare un nuovo senso di prosperità ed energia» nella palude della politica italiana.
Sullo sfondo, l’illustratore del New York Times sceglie un paesaggio di Jean-Baptiste-Camille Corot Castel Sant’Angelo e il fiume Tevere.

Rischia la vita per salvare la sua Xbox

Di solito si dice: in casi di emergenza salvare prima le donne ed i bambini. La raccomandazione non vale di certo per quest'uomo americano, la cui priorità è semplicemente la sua Xbox One.
Tutto è accaduto alla fine di gennaio in una casa di Olathe, nel Kansas, dove è scoppiato un violento rogo. L'uomo ha quindi deciso di sfidare eroicamente le fiamme di casa sua!
Lo scopo del suo gesto, tuttavia, non era una fidanzata in pericolo o un figlio rimasto intrappolato nella sua cameretta... si trattava semplicemente della sua Xbox One.
Uscito dalle fiamme con la sua console tra le braccia, ha dovuto subire numerose medicazioni per le ustioni e per i fumi inalati.
L'incendio sarebbe partito da un problema elettrico e, secondo fonti giornalistiche, avrebbe provocato danni per oltre 80 mila dollari.
Adesso l'uomo vorrebbe un gesto di riconoscenza da parte di Microsoft dopo aver salvato la sua preziosa Xbox.

Dodicenne ammanettata ed arrestata in classe per avere scarabocchiato sul banco...

Scarabocchiare sul banco?
Una cosa da nulla che fanno tutti i ragazzini, penserete voi.
Ma negli USA sembra che sia un qualcosa che viene preso molto sul serio, almeno alla Junior High School di Forest Hill, vicino a New York.
Una dodicenne, Alexa Gonzales, è stata ammanettata in classe e prelevata da degli agenti per avere scarabocchiato il banco, usando un pennarello verde.



La ragazzina ha scritto “Amo le mie amiche Abby e Faith” e “Lex è stata qui. :-)”.
Non è chiaro chi abbia chiamato gli agenti, dato che successivamente sia le autorità scolastiche che la polizia ammettono che la situazione non è stata gestita nel migliore dei modi: “Stiamo verificando i fatti.
Sulla base di quello che abbiamo visto finora, questo non sarebbe dovuto succedere”, ha commentato il portavoce del distretto scolastico.
La ragazzina (che ha sempre avuto un ottimo curriculum scolastico) è rimasta decisamente scioccata dal trattamento ricevuto, anche perché è stata trattenuta nella stazione di polizia per diverse ore.

Il look del professore non cambia in quarant’anni !!!

Il look dell’insegnante non cambia mai, nemmeno in quarant’anni! Arriva direttamente da Dallas la storia di Dale Irby, un insegnante di ginnastica che nel corso dei suoi quarant’anni di carriera non ha mai cambiato il proprio look. A dimostrare tutto ciò ci sono le foto dell’annuario della sua scuola. Dagli anni Settanta ad oggi, il professore Irby non ha mai rinunciato ad indossare il suo classico gilet di lana con collo a V e la sua camicia retrò.

Date uno sguardo alle incredibili foto!

Dopo trauma cerebrale diventa genio matematico

Nei cartoni animati e nei telefilm è un’idea usata spesso, ma nella realtà è un fatto raro e che molti giudicavano sostanzialmente impossibile. Eppure Jason Padgett, dopo un “colpo in testa” è ora diventato un genio matematico.Padgett era stato gravemente ferito in una brutale aggressione all’uscita da un locale, nel corso della quale tre rapinatori gli hanno causato danni cerebrali colpendolo ripetutamente a calci in testa.Padgett però si è ripreso, ed ora “vede” dovunque complicate formule matematiche ed è in grado di disegnare a mano precisi grafici di funzione. Le analisi mediche hanno evidenziato che il cervello dell’uomo, per “compensare” il malfunzionamento delle aree danneggiate, fa lavorare maggiormente aree normalmente sottoutilizzate.Quello di Padgett è uno dei pochissimi casi clinici in cui è confermata la relazione tra un trauma e l’acquisizione di nuove capacità.

mercoledì 19 febbraio 2014

In Svezia c’è la scuola senza classi !

Come al solito dalla Svezia arrivano le innovazioni più strane ma che certe volte sortiscono un effetto positivo. Quella che vogliamo raccontarvi oggi è la scuola senza classi, progettata da Rosan Boschin. Si trova a Stoccolma: le aule sono state sostituite da spazi aperti che favoriscono così l’interazione e la collaborazione, dove gli studenti possono muoversi liberamente. Nella scuola super moderna ci sono luoghi in cui giocare, workstation, sala cinematografica. Un sogno!

Il calore all’Inferno...

Esame di termodinamica al corso di laurea in Ingegneria. Il professore assegna una esercitazione a casa: “L’inferno è esotermico (libera calore) o endotermico (assorbe calore)? Sostenete la risposta con delle prove“. Tutti cercano di dimostrare le proprie affermazioni con la legge di Boyle: un gas si raffredda quando si espande e si riscalda quando viene compresso. Ma uno studente fa un’analisi particolare. Eccola: “Innanzitutto, dobbiamo sapere come cambia nel tempo la massa dell’inferno. E quindi abbiamo bisogno di stabilire i tassi di entrata e uscita dall’inferno delle anime. Credo che possiamo tranquillamente assumere che, quando un’anima entra all’inferno, non è destinata a uscirne. Quindi, nessun’anima esce. Per quanto riguarda il numero di anime che fanno il loro ingresso all’inferno, prendiamo in considerazione le diverse religioni attualmente esistenti al mondo. Un numero significativo di esse sostiene che se non sei un membro di quella stessa religione andrai all’inferno. Siccome di queste religioni ce n’è più di una, e visto che le persone abbracciano una sola fede per volta, possiamo dedurne che tutte le persone e tutte le anime finiscono all’inferno. Dunque, stanti gli attuali tassi di natalità e mortalità della popolazione mondiale, possiamo attenderci una crescita esponenziale del numero di anime presenti all’inferno. Ora rivolgiamo l’attenzione al tasso di espansione dell’inferno, poiché la legge di Boyle afferma che, per mantenere stabile la temperatura e la pressione dentro l’inferno, il volume dello stesso deve crescere proporzionalmente all’ingresso delle anime. Questo ci dà due possibilità: 1) Se l’inferno si espande a una velocità minore di quella dell’ingresso delle anime, allora temperature e pressione dell’inferno saranno destinate a crescere, fino a farlo esplodere. 2) Naturalmente, se l’inferno si espande più velocemente del tasso d’ingresso delle anime, allora temperatura e pressione scenderanno fino a quando l’inferno non si congelerà. Dunque, quale delle due è l’ipotesi corretta? Se accettiamo il postulato comunicatomi dalla signorina Paola M. durante il mio primo anno all’università, secondo il quale ‘farà molto freddo all’inferno prima che io te la dia’, e considerando che ancora non ho avuto successo nel tentativo di avere una relazione sessuale con lei, allora l’ipotesi 2 non può essere vera. Quindi l’inferno è esotermico“. Voto: 30!

Professore si tinge di rosa barba e capelli per scommessa con gli studenti

David Robinson, professore in un liceo dello stato di Washington, si è tinto barba e capelli di rosa, ma per un buon motivo: lo ha fatto in occasione del mese contro il cancro al seno, dopo una scommessa persa con i suoi studenti. Robinson aveva promesso che se i ragazzi avessero raccolto almeno 20 kg di caramelle, da donare ad un festival autunnale dove sarebbero state vendute per una raccolta fondi, si sarebbe tinto dell’insolito colore. I ragazzi hanno raggiunto e superato l’obiettivo, raccogliendo quasi 25kg di caramelle, ed il professore ha mantenuto la promessa. “Mia madre è morta del linfoma di Hodgkin quando avevo 34 anni, ed è stata una di quelle cose, che mi sono detto ‘Cavoli, non ho mai fatto niente per questa causa’.” racconta il professor Robinson.

Se quella notte non fossi andato a dormire presto…

Non ha mai inviato una mail, né fatto una chiamata telefonica e navigato su internet. È una persona decisamente fuori dal mondo. Ma, nonostante tutto ciò, l’anno scorso si è aggiudicato il premio Nobel per la fisica, “per la teorizzazione di un meccanismo che contribuisce alla nostra comprensione dell’origine della massa delle particelle subatomiche, e che è stato recentemente confermato dalla scoperta della particella fondamentale prevista, grazie agli esperimenti Atlas e Cms del Large Hadron Collider del Cern”. Parliamo naturalmente di Peter Higgs, lo scienziato britannico (attualmente professore emerito alla University of Edinburgh) che negli anni sessanta scoprì la particella che ora porta il suo nome – e che è stata osservata sperimentalmente solo l’anno scorso. Oggi, a riflettori ormai spenti, Peter Higgs fa di nuovo parlare di sé. In un’intervista rilasciata al programma The Life Scientific della Bbc Radio 4, infatti, il professore ha ripercorso i giorni della scoperta, svelando alcuni retroscena che, a suo avviso, gli hanno impedito di essere grande protagonista della scienza negli anni successivi (anche se, c’è da ammettere, il gran finale ha riscattato la lunga attesa). Questa la ricostruzione di Higgs: “Era il 1960. Mi trovavo alla prima Scottish Summer School in Physics, e facevo parte della commissione della scuola. C’era un gruppo di studenti che la notte non dormivano per discutere di cose come l’interazione debole o elettromagnetica. Purtroppo, io dovevo lavorare, quindi non sono potuto rimanere con loro. E ho capito solo dopo di essermi perso delle discussioni estremamente interessanti. Non ho potuto conoscere al momento giusto la teoria di Glashow, per esempio”. Higgs si riferisce a Shelley Glasgow, futuro premio Nobel assieme ad Abdus Salam e Steven Weinberg, che proprio in quel periodo stava mettendo a punto la teoria alla base del Modello Standard, un impianto in cui il bosone di Higgs ha un ruolo fondamentale. Lo scienziato britannico confessa di aver fatto fatica a seguire gli sviluppi successivi del campo a causa di un certo numero di circostanze accidentali: “Dopo quella famosa summer school, in cui mi persi quelle discussioni fondamentali, non riuscii a tenere il passo con le novità che venivano dai lavori di Shelley, Abdul e Steven. Ho iniziato a capirci qualcosa solo negli anni settanta”. Higgs, tra l’altro, non ha lesinato qualche dettaglio di gossip: “All’inizio degli anni settanta c’è anche stata la fine del mio matrimonio. In quegli anni mi dedicavo solo a studiare e insegnare. Parte del problema”, ha ammesso, “è che quando io e mia moglie ci sposammo lei era convinta che fossi una persona alla mano. Peccato lo fossi solo rispetto alla ricerca e non nella vita sociale”. Sempre negli anni settanta, e forse anche a causa della fine del matrimonio, Higgs si chiuse sempre più in sé stesso: “Nessuno prendeva sul serio quello che stavo facendo. Nessuno voleva lavorare con me: mi ritenevano irascibile e probabilmente un po’ pazzo”. Infine, Higgs si è lasciato sfuggire alcune curiosità più attuali: “Francamente, la celebrità mi dà un po’ fastidio”. Tanto che, all’annuncio del premio, si rese irreperibile. Molti pensarono che il professore fosse inconsapevole che avrebbe vinto il Nobel, o semplicemente poco interessato. In realtà, era successo esattamente l’opposto. Sapendo che la commissione lo avrebbe chiamato per l’annuncio, era uscito di casa deliberatamente. E chi s’è visto s’è visto.

martedì 18 febbraio 2014

La bellezza delle formule matematiche

La matematica è straordinariamente potente. Combinando pochi simboli riesce a racchiudere la complessità del mondo e a descrivere il funzionamento della natura. Per lo stesso motivo la matematica può essere bella, bellissima, abbagliante. Per chi le sa capire certe equazioni rappresentano un’esperienza emozionale che non ha nulla da invidiare ai capolavori dell’arte. Farsi rapire da Mozart, perdersi con lo sguardo nella Cappella Sistina, restare stregati dall’ E=mc quadro di Einstein. Non ci credete? Un gruppo di ricercatori dell’University College London ha chiesto a quindici matematici di esprimere un giudizio estetico su sessanta equazioni. Poi Semir Zeki e colleghi hanno osservato le reazioni che queste formule erano in grado di suscitare nel cervello dei soggetti sperimentali, utilizzando una tecnica chiamata risonanza magnetica funzionale. I risultati, pubblicati sulla rivista Frontiers in Human Neuroscience, dimostrano che le belle equazioni attivano una parte specifica del cervello emozionale (corteccia orbitofrontale mediale), la stessa che viene accesa dalla grande pittura e dalla grande musica. Più la formula è considerata bella e più intensamente si attiva quest’area. La più bella tra le belle è risultata una formula che pochi ricordano, l’identità di Eulero. Afferma che una costante elevata con un particolare esponente e sommata a uno dà come risultato zero. Se non riuscite a coglierne il fascino non preoccupatevi, è del tutto normale. Quando i ricercatori britannici hanno ripetuto la prova con delle persone digiune di matematica, la maggior parte di loro ha detto di non provare alcuna emozione. Per i matematici comunque si tratta di una combinazione irresistibile, perché lega cinque costanti fondamentali con tre operazioni aritmetiche basilari. La semplicità è spesso il segreto della bellezza, anche nelle equazioni. Il teorema di Pitagora, ad esempio, ha tutti i numeri per piacere. Il record della bruttezza, invece, è andato a una serie (assai complicata) formulata dall’indiano Ramanujan. Per molti la matematica è fredda, in alcuni scatena un fastidioso senso di inadeguatezza, qualcuno di fronte a un foglio riempito di calcoli prova una specie di fobia. Secondo uno studio americano pubblicato su Plos One la matematica attiva in chi ne ha paura delle sensazioni di vero e proprio dolore. Ma per i più fortunati, quelli che li hanno studiati bene, i numeri sono piuttosto una fonte di piacere. Non si trovano agli antipodi dell’arte come vorrebbe il cliché, ma lì a fianco e forse un po’ al di sopra. Lo spirito della matematica può essere rintracciato solo nella poesia, sosteneva Bertrand Russell, e già Platone giudicava la bellezza matematica superiore alle altre. La bellezza non è mai facile da definire e nel caso della matematica è ancora più ineffabile. Non ci sono le ombre di Caravaggio e i colori di Van Gogh, non ci sono armonie musicali, anche se non è raro che i più dotati riescano a “vedere” e “sentire” i numeri. In linea di principio il matematico partecipa a un gioco in cui è lui stesso a inventare le regole, mentre per il fisico le regole sono fornite dalla natura. Ma come ha notato il padre della meccanica quantistica, Paul Dirac, alla fine dei conti le regole preferite dai matematici sono le stesse scelte dalla natura. Il fatto che nell’uomo esista un senso estetico per le equazioni, insomma, rivela un legame affascinante ed enigmatico tra l’organizzazione del nostro cervello e il funzionamento del mondo in cui ci siamo evoluti. (Pubblicato sul Corriere della sera il 15 febbraio 2014)

lunedì 17 febbraio 2014

Calcio batte matematica. Uno a zero.

David sbadigliava annoiato. Il professore di matematica aveva iniziato la sua lezione da poco più di quindici minuti, un misero quarto d’ora e lui già si annoiava a morte. Noia che manifestava con sbadigli puntuali ogni cinque minuti. Nell’arco dell’anno scolastico, o, come lo definiva lui, dei sei mesi di sofferenza, il professore l’aveva già rimproverato più volte per quei comportamenti e quegli sbadigli. “Bravo David, continua a sbadigliare, a ignorare la matematica e a inseguire un pallone. Voglio proprio vedere dove finirai quando quel pallone si bucherà”, gli diceva.
In realtà le critiche del professore erano giuste. David non era tipo da immergersi in un libro d’algebra o di geometria, non si era mai appassionato a equazioni, frazioni, triangoli, x e y. Faceva solo quello che era necessario, “i compiti che dovevano farsi per forza” diceva, e quando aveva anche solo un attimo di tempo prendeva il pallone, metteva la sua maglia preferita, quella del Manchester United, usciva di casa e scendeva al campetto, il suo campetto. Quando pioveva, oppure la domenica, accendeva la televisione e si sdraiava sul letto a guardare il Manchester, il suo Manchester, nelle cui giovanili giocava. Giocare a calcio era di gran lunga la sua attività preferita. Stare sul campo lo rilassava, correre, dare istruzioni ai compagni lo faceva sentire qualcuno, battere una punizione superando la barriera, dribblare un avversario, infilare la rete con un destro o un colpo di testa era il suo modo per superare i problemi, le depressioni, le inquietudini della sua età. Era pure bravo, vinceva spesso il confronto con i ragazzi del campetto, “Del resto gioco nel Manchester”, diceva, ma non per vantarsi, quanto per rispondere alle lodi che, di tanto in tanto, gli venivano fatte.
E la matematica “Ma…”, pensandoci storceva la bocca. Risolvere un equazione non era come giocare a pallone, “dare un valore a una stupida x è molto più difficile che segnare da centrocampo”, diceva.
Quel giorno, come tutti gli altri, pensava alla partita di ritorno che si sarebbe giocata l’indomani, non era una partita qualsiasi, era il ritorno della semifinale regionale.
“Pensa al pallone, pensa al calcio” gli diceva il prof, “voglio proprio vedere, domani, come farai il compito”. Già, il compito. David non se ne ricordava nemmeno, comunque nemmeno gli interessava troppo. Si poteva sacrificare un compito per una semifinale, pensava, quindi quel giorno si sarebbe allenato come tutti gli altri.
Nel pomeriggio dovette però desistere dal suo proposito. Una grande nuvola grigia, spalleggiata da tre o quattro compagnette più piccole aveva deciso di fare una gita proprio lì, scatenando un violento temporale. Dopo un’ora passata a guardare fuori dalla finestra, David si girò, vide il libro di algebra sopra il tavolo, “hai vinto” disse e lo aprì. Per una buona mezz’ora stette lì a fare le noiosissime equazioni di primo grado. A un certo punto ne incontrò una in cui la x, cioè l’incognita si eliminava. Scrisse 1-1=2-2.
Sorrise a questo passaggio. 1-1 e 2-2 erano delle sottrazioni, ma potevano essere anche risultati calcistici: la partita d’andata era proprio finita 1-1.
1-1=2-2… Quell’uguaglianza gli sembrava strana. Ci mise un secondo a capire perché. Per la matematica che noi tutti conosciamo 1-1=2-2, ovvero 0=0, ma per un’altra matematica, quella del calcio, delle tattiche, dei 4-4-2 e 4-3-3 dove uno a uno è diverso da due a due. Infatti, nelle sfide ad andata e ritorno, in caso di parità, la squadra che ha segnato più gol fuori, vince. Quell’uguaglianza per un matematico, per un semplice studente del liceo, forse anche solo per un bambino delle elementari è ovvia, per David stranissima. In più i segni meno gli sembravano proprio uguali ai trattini che separavano i gol di una squadra dall’altra. E ciò lo fece pensare irrimediabilmente alla partita che si sarebbe svolta l’indomani. Avevano pareggiato 1-1 in casa, dunque un 2-2 fuori sarebbe stato sufficiente per passare il turno, anche se quel pensiero non gli piaceva: lui voleva vincere non soltanto pareggiare.
Guardò fuori, pioveva ancora. Sospirò, il pallone doveva proprio aspettare. Si rimise a fare gli esercizi di matematica. Esercizio quattrocento quaranta due. Sorrise. Esercizio 442. Il 4-4-2! Lo schema più famoso del mondo! In un libro di matematica si potevano trovare davvero cose divertenti.
E quel giorno David affrontò i compiti con un altro spirito, risolvendo equazioni, studiando la matematica e collegandola con quello che gli piaceva di più, il calcio.
Nasceva così una sorta di matematica calcistica in cui x, ovvero l’incognita, diventava ad esempio il numero di gol che avrebbe fatto la sua squadra, o il numero del giocatore decisivo o il numero di medaglie, di coppe che avrebbe vinto nella sua carriera. Ogni volta iniziava a risolvere con un pensiero di questo tipo e in breve il tempo passò.
Quel pomeriggio non smise mai di piovere e le sette vennero molto prima che David se ne accorgesse. Quando arrivarono, chiuse il libro. “Però è stato divertente, tutto sommato”, pensò tra sé e sé, “certo, non come giocare a pallone” aggiunse guardando fuori dalla finestra.
E venne il giorno seguente, che era il giorno della partita, ma anche del compito di matematica.
Quando il prof distribuì i compiti, David non era preoccupato come al solito, forse perché il nervosismo per la partita seguente non lasciava spazio alla preoccupazione, forse perché si sentiva sicuro di avere studiato bene tra 4-4-2 ed equazioni calcistiche.
Fatto sta che quando consegnò il compito si sentì molto più sicuro del solito e pronto ad affrontare la partita.
Finita la scuola andò alla solita pizzeria. “David, fatti onore mi raccomando. E fai onore al Manchester”, gli raccomandò il pizzaiolo dopo avergli dato il pranzo: ormai anche lui era un suo tifoso.
Finito di mangiare, via al campo, un saluto ai compagni e giù negli spogliatoi. La sua maglia con il grande numero 7, il suo numero 7, l’aspettava.
Quella però non sembrava una partita facile per David e per la maglia numero 7. Erano andati sotto quasi subito, causa il centravanti avversario, e 1-0 era finito il primo tempo. Serviva una scossa, diceva l’allenatore. La maglia numero 7 fece la sua figura nel secondo tempo. Dopo una grande azione sulla fascia destra sfornò un cross perfetto che il suo amico e centravanti non poté che schiantare in rete.
“Bravo, bravo” gli gridò David che però voleva un altro gol per evitare la parità e i tempi supplementari. Fino a quel momento l’equazione era rispettata.
1-1=1-1. Poi arrivò un altro gol della squadra avversaria e, proprio all’ultimo minuto, dopo azione memorabile della maglia numero 7, la vittoria andò alla giovanile del Manchester United e la proiettò in finale. David si girò verso il tabellino. Era sempre un’emozione leggere il proprio numero 7 nel resoconto dei gol.
Era finita 2-2, pensava, erano passati. E ripensò all’equazione del giorno prima.
1-1=2-2. “Eh, no!”, si disse “forse in matematica sarà anche uguale, ma nel calcio no. E passiamo noi!”. Tutto il resto del giorno fu una festa e la sera David fu dispiaciuto di dover andare a letto, perché quella giornata se l’era goduta veramente a fondo.
Il giorno dopo, il prof aveva già corretto i compiti. “Ma questo qui non ha niente da fare?”, pensò David, però, quando vide il compito si rallegrò parecchio. Non era né un 5 e mezzo né un 6 stiracchiato. Era un bel 7. Proprio il suo numero. E quando andò a riconsegnare il compito il prof annotando il voto sul registro gli disse, “Bravo David, vedo che allora hai qualcos’altro in testa a parte il pallone. E che hai fatto ieri ragazzo? Hai vinto?”. “Sì, abbiamo fatto 2-2 e siamo passati” e a quell’affermazione seguì un coro di elogi. “Ma se hanno fatto 1-1 all’andata e 2-2 adesso non saranno pari”, pensava il prof che concluse con un “Bah” il suo ragionamento.
Calcio batte matematica. Uno a zero.


giovedì 13 febbraio 2014

Ti leggo il cervello e ti dico se stai ascoltando i Beatles

Un’équipe di neuroscienziati ha usato la risonanza magnetica funzionale per studiare il modo in cui il cervello elabora la musica e indovinare quale canzone si sta ascoltando.

Imaging all the people / living life in peace”. Ci si perdoni il calembour ai danni di John Lennon e compagni, ma il gioco di parole viene abbastanza naturale. Un’équipe di neuroscienziati danesi e finlandesi, ha appena utilizzato il repertorio dei Beatles per indagare i meccanismi con cui il cervello elabora la musica, servendosi di tecniche avanzate di imaging cerebrale tramite risonanza magnetica funzionale. Gli scienziati hanno messo a punto un algoritmo che, esaminando le aree del cervello attive durante l’ascolto, permette di indovinare di quale canzone si tratta. Con risultati, a quanto pare, abbastanza soddisfacenti.
L’équipe, composta di ricercatori della Aarhus University e delle università di Jyväskylä e di Helsinki, ha chiesto a 15 volontari di ascoltare un estratto di 16 minuti dall’album Abbey Road dei Fab Four. I dati relativi alla loro attività cerebrale sono stati quindi inseriti in un algoritmo in grado di osservare e analizzare sei caratteristiche musicali identificabili – pienezza, luminosità, attività, complessità timbrica, chiarezza degli impulsi e chiarezza tonale. Monitorando come il cervello reagisce nell’ascolto di ciascuna di queste peculiarità, il software messo a punto dagli scienziati è in grado di identificare i modelli “precursori rispetto alla prossima serie temporale di valori chiave” – cioè, in altre parole, come sarebbero evolute nel tempo le caratteristiche musicali del brano in ascolto, consentendo in questo modo di capire cosa stessero suonando in quel momento i Beatles.
Le caratteristiche sono state scelte “perché sono quelle più facilmente estraibili da una registrazione musicale”, spiega Petri Toiviainen, della University of Jyväskylä. “Ma anche perché hanno una chiara rilevanza percettiva, cioè sono immediatamente riconosciute dall’orecchio e dal cervello umani. Le previsioni si sono rivelate piuttosto attendibili per cinque delle sei caratteristiche scelte, con un coefficiente di correlazione pari a 0,4 (a fronte di un massimo teorico di 1). Sebbene sembri un valore piuttosto basso – e in effetti Toivianen ha ammesso che la tecnica è ancora “tutt’altro che perfetta” –, è comunque significativamente superiore (in senso statistico) rispetto a una previsione totalmente affidata al caso, che avrebbe permesso di indovinare, in media, solo il 10% delle volte.
Si noti, tra l’altro, che l’accuratezza della previsione dipende soprattutto dal tipo di compilation musicale che si utilizza”, precisa Toiviainen. “Se la raccolta contiene pezzi molto diversi, per esempio musica classica, rock e jazz, la classificazione è più semplice perché le differenze acustiche sono più marcate. Nel nostro caso, la musica era piuttosto omogenea, il che ha reso le previsioni più difficili”. Gli scienziati, tra l’altro, hanno scoperto che l’ascolto di musica attiva, oltre alla corteccia uditiva, anche le regioni motorie, limbiche e frontali, responsabili dell’elaborazione delle emozioni e del controllo dei movimenti, il che sembra suggerire che la musica innesca esplicitamente reazioni emotive e voglia di ballare. Secondo Toiviainen, il cervello si servirebbe del movimento per analizzare e dare un senso alla struttura temporale della musica. Ma c’è dell’altro: “Abbiamo scoperto che alcune tra le regioni cerebrali che si attivano durante l’ascolto di musica sono le stesse osservate dopo l’assunzione di droga o durante i rapporti sessuali, spiega ancora il neuroscienziato.
La tecnica, secondo gli autori del lavoro, aiuterà a migliorare l’efficacia della cosiddetta musicoterapia: “Capire meglio come viene elaborata la musica e quali aree del cervello sono coinvolte”, conclude Toiviainen, “ci consentirà di sviluppare metodi terapeutici più efficienti e mirati basati sulla musica”.

Matematica, verso la soluzione di uno dei Problemi del millennio ?

Il sistema di equazioni differenziali di Navier-Stokes vale un milione di dollari.
E forse il matematico Mukhtarbai Otelbayev lo ha risolto.

Il 2014 potrebbe essere un anno di svolta per la matematica e uno dei suoi più famosi problemi irrisolti di fluidodinamica, la ricerca delle soluzioni delle equazioni di Navier-Stokes? Lo scorso 10 gennaio, il sito kazako Kazinform ha riportato per primo la notizia che il matematico Mukhtarbai Otelbayev avrebbe risolto uno dei sette Problemi del Millennio, quello, appunto, relativo alle soluzioni delle equazioni di Navier-Stokes. Si tratta di un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali che descrive il comportamento di un fluido, come acqua o aria, nello spazio: queste equazioni possono trovare applicazione, per esempio, nella modellistica del sangue, nella descrizione dello scorrere dei fiumi o nel volo degli aerei. Per ottenere delle soluzioni da questo sistema, che diventa molto complicato per esempio in presenza di turbolenze, bisogna solitamente agire per approssimazioni che le semplifichino. Inoltre, da quando queste equazioni sono state introdotte circa duecento anni fa dai matematici Claude-Louis Navier e a George Gabriel Stokes, si è rivelato molto difficile dimostrare, date condizioni iniziali qualsiasi, che esistono soluzioni regolari. La sfida posta da questo enigma, ha indotto l’Istituto Matematico Clay ad aprire la caccia alle soluzioni globali regolari delle equazioni di Navier-Stokes e a premiare il matematico risolutore di questo Millennium Problem, che risale al 1822, con un milione di dollari. C’è da precisare che, in due dimensioni, le soluzioni globali esistono: la sfida è trovare soluzioni globali ‘forti’, regolari, in tre dimensioni. Finora, quelle trovate (negli anni Trenta dal grande matematico francese Jean Leary) in tre dimensioni sono ‘deboli’, poco regolari, e non si sa se siano uniche.
Il matematico Otelbayev, 71 anni, è membro dell’Accademia delle Scienze Kazake, ed è molto stimato della comunità di matematici di quel Paese, come dimostra anche il fatto che dirige l’Istituto Matematico Eurasiano presso l’Università Nazionale Eurasiana della capitale Astana. Dopo il prodigioso lavoro dell’eccentrico Grigorij Perel’man, che nel 2002 risolse la congettura di Poincaré, un altro matematico proveniente da quella che una volta era l’Unione Sovietica potrebbe aver sconfitto uno dei Problemi del Millennio? A chiederselo sono in molti, fra i matematici di tutto il mondo, dato che la notizia della possibile soluzione si è diffusa a macchia d’olio praticamente da subito. L’articolo sul sito kazako dà sostanzialmente per scontata l’esattezza della soluzione proposta da Otelbayev, che ha pubblicato il paper sulla rivista Математический Журнал. Tuttavia, per diradare i dubbi che aleggiano su questa delicatissima questione, l’articolo è attualmente vagliato dalla comunità matematica, che si sta impegnando innanzitutto a tradurlo per eliminare la primissima difficoltà di comprensione della questione, ossia il fatto che sia scritto quasi completamente in russo. “Finora sono emersi vari aspetti” spiega Roberto Natalini, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo ‘M. Picone’ del Cnr di Roma. “Le persone che si sono concentrate sulle formule, che si riescono a leggere con più immediatezza, hanno sollevato alcune obiezioni inziali nei confronti, per esempio, del Teorema 6.1, un pezzo importante della dimostrazione, rispetto al quale alcuni hanno trovato dei ‘controesempi’. Hanno fatto cioè vedere che se questo teorema, che riguarda una classe più generale di operatori, fosse valido, allora esisterebbe un operatore che verifica le ipotesi del teorema ma per il quale la tesi è falsa”. Otelbayev ha risposto a questa obiezione sostenendo che fosse possibile modificare le ipotesi iniziali per sistemare il tutto, ma a questo punto è intervenuto il grande, giovane talento della matematica mondiale Terence Tao, che ha demolito questo suo tentativo presentando un nuovo controesempio.
“Il punto chiave – continua Natalini – è che Otelbayev procede partendo da un caso astratto, che lui dimostra, che include come caso particolare le equazioni di Navier-Stokes. Però, quello che ha fatto potrebbe essere sbagliato per il caso astratto, ma vero per Navier-Stokes: attualmente, non c’è ancora la prova ufficiale che si sia sbagliato. Tao, in un successivo intervento, senza citare direttamente il risultato del kazako, ha pubblicato un articolo su Arxiv, accanto a un post divulgativo, in cui sostiene che usare solo le proprietà astratte delle equazioni di Navier-Stokes (come ha fatto Otelbayev, non nominato esplicitamente) nello spazio delle funzioni il cui quadrato è integrabile (si indicano in matematica con L2) non può far arrivare a dimostrare l’esistenza globale delle soluzioni, perché sarebbe necessario un controllo in spazi funzionali diversi”. Tao si è spinto però anche un po’ più in là, mostrando il suo scetticismo per l’esistenza di soluzioni globali delle equazioni di Navier-Stokes in tre dimensioni. “Tao ha costruito un modellino di equazioni ‘semplificate’, con le stesse proprietà delle Navier-Stokes e ha fatto vedere che queste equazioni non ammettono soluzioni globali regolari in un tempo finito. Lo stesso Tao ha sottolineato che questo suo risultato è il primo che riguarda equazioni di tipo Navier-Stokes in cui si dimostra che non esistono soluzioni globali nonostante si verifichino le stime dell’energia fisica delle equazioni di Navier-Stokes”. In particolare, Tao scrive testualmente Intriguingly, the method of proof in fact hints at a possible route to establishing blowup for the true Navier-Stokes equations, which I am now increasingly inclined to believe is the case (albeit for a very small set of initial data). Ossia: Il metodo di questa mia dimostrazione suggerisce una possibile strada per far vedere la non esistenza di soluzioni globali delle equazioni di Navier-Stokes – cosa che io sono sempre più incline a credere (nonostante valga solo per un piccolo insieme di dati). “Indirettamente, in questo post Tao ci dice che pensa che il lavoro di Otelbayev sia sbagliato nel risultato e che secondo lui forse non esistono sempre soluzioni globali alle equazioni di Navier-Stokes. In ogni caso, il problema è ancora aperto e il futuro ci riserverà certamente colpi di scena. Ovviamente, se qualcuno dimostrasse che le soluzioni non esistono, vincerebbe ugualmente il premio dell’Istituto Clay. Può darsi che Tao punti proprio a questo” conclude Natalini.

Scienza: matematici scoprono 177.147 modi per allacciare la cravatta

Un gruppo di matematici del KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, Svezia, ha scoperto ben 177.147 modi diversi per annodare una cravatta al collo. In precedenza, alcuni scienziati dell’Universita’ di Cambridge avevano dimostrato che erano possibili solo 85 nodi diversi. Il matematico svedese Mikael Vejdemo e’ partito proprio dallo studio di Thomas Fink e Yong Mao e ha notato che i ricercatori non avevano incluso nel loro paper i nodi piu’ elaborati. Infatti la coppia di scienziati aveva usato la teoria dei linguaggi formali per esprimere tramite simboli le regole base della operazione di allacciamento di una cravatta al collo. Fink e Mao avevo fatto due ipotesi sui nodi di cravatta che ne avevano ridotto il numero a disposizione. Il team di scienziati svedesi ha impostato in modo diverso le ipotesi e cosi’ ha descritto di nuovo in modo simbolico le varie fasi dell’allacciamento della cravatta, arrivando alla cifra di 177.147.

Scuola 2.0, i colossi dell'informatica scendono in campo contro il 'digital divide'

Tablet, lavagne multimediali e software studiati ad hoc. Le soluzioni educational di Microsoft, Samsung e Apple per ridurre il gap dell'Italia in un settore cruciale per l'istruzione del futuro.

L'ITALIA è ancora troppo indietro nel processo di digitalizzazione delle scuole. Lo dicono i numeri. Secondo l'analisi effettuata dall'Ocse sul 'Piano Nazionale Scuola Digitale' nel nostro Paese ci sono 6 computer ogni 100 studenti (contro una media europea del 16%) e appena il 6% degli istituti sono completamente digitalizzati (rispetto al 37% continentale); solo il 54% delle classi, poi, ha accesso a Internet. Ma gli sforzi per portare a un miglioramento di questo quadro a tinte fosche sono comunque tanti. Nonostante la scarsità di fondi pubblici. Si moltiplicano, infatti, le iniziative che le grandi aziende informatiche stanno mettendo in pratica anche in Italia per far sì che la scuola sia sempre più un ambiente stimolante e, soprattutto, che diventi un luogo dove apprendere in maniera innovativa, arricchendo il proprio bagaglio culturale grazie agli innumerevoli saperi che la multimedialità mette a disposizione.
Con Microsoft per gridare Eureka! Microsoft, con una serie di progetti paralleli, cerca di proiettare nel futuro l'intero universo scolastico. È il caso di 'Eureka!', sviluppato dal colosso di Redmond assieme a Intel e alla divisione Scuola della casa editrice Giunti, presentato a fine 2013 a ABCD, il Salone italiano dell'Educazione, dell'Orientamento e del Lavoro. Si tratta di un ecosistema digitale integrato che punta a dotare, in poco tempo, oltre 12mila scuole del nostro Paese (primarie e secondarie, di I e di II livello) di un kit di hardware e software di ultima generazione (fissi e mobile) specifici per il settore socio-educativo. Agli studenti saranno dati tablet e notebook, forniti da Acer e basati su un'architettura Intel, su cui saranno preinstallati sia il pacchetto Office 365 (la famosa suite di applicativi per la produttività, nella versione pensata per i più giovani) sia la piattaforma IES (Intel education software) concepita proprio in base agli standard educativi attuali. Per aiutare, da un lato, gli studenti a sviluppare le abilità richieste (su tutte l'uso rapido ed efficiente degli strumenti digitali) e, dall'altro, i docenti nel coinvolgere sempre più gli alunni. Inoltre, ad ogni istituto, verrà fornita una LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) da installare nel laboratorio informatico della scuola per effettuare lezioni che comprendano l'utilizzo di contenuti scritti ma anche di audio e video. Senza dimenticare i tool gratuiti per i docenti e Poster e Geoscuola, le prime applicazioni di learning pensate per le scuole primaria e secondaria ed espressamente studiate per i nuovi sistemi operativi touch: la prima (Poster) è un vero e proprio sussidiario 2.0 che permette di entrare nel mondo della storia, della matematica, della geografia in maniera totalmente interattiva; la seconda (Geoscuola) è la versione digitale di un libro di testo di geografia, arricchito però d'immagini, contenuti multimediali e unità didattiche.

C'è poi il tema dell'orientamento, una delle note dolenti del nostro sistema scolastico, che porta molto spesso a scelte poco consapevoli su quale percorso di studi intraprendere. Per questo, in Microsoft, hanno pensato di fornire agli studenti, sempre nei software di Eureka!, delle batterie di test (differenti a seconda del livello scolastico) per creare dei profili personalizzati di ogni singolo studente e fornire indicazioni su inclinazioni, abilità, punti di forza e debolezza per metterlo in condizione di scegliere il liceo piuttosto che l'istituto tecnico, la facoltà universitaria più indicata piuttosto che l'area lavorativa più affine alle proprie caratteristiche. Ma il supporto di Microsoft serve per educare e far crescere persone prima ancora che studenti: individuando precocemente eventuali disturbi dell'apprendimento nel singolo bambino (i cosiddetti DSA) attraverso test e questionari che consentono d'intervenire con programmi di potenziamento specifici; creando di strumenti di valutazione individuale; sviluppando contenuti esterni ai programmi scolastici ma finalizzati all'educazione civica dello studente in campi importanti (alimentazione, ambiente, diritti civili, tutela dei minori), fruibili online per essere affrontati in classe.

A questi servizi si aggiunge anche il 'Registro elettronico', un'applicazione web studiata per la digitalizzazione del registro di classe e di quello del docente, per condividere in tempo reale con le famiglie le informazioni su tutte le attività didattiche svolte in classe (argomenti trattati, presenze e assenze, ritardi e uscite anticipate, note disciplinari, voti). Perché, nell'ottica di Microsoft, anche il coinvolgimento dei genitori è fondamentale. Come dimostra il progetto 'Genitori in video', promosso dal Comune di Milano e sviluppato dall'azienda di Redmont in partnership con Asus, Plantronics e Microsys, che prevede la possibilità di mettere in contatto virtualmente famiglie e insegnanti grazie a tecnologie di comunicazione e collaborazione basate sul Cloud: Skype, che permette di svolgere i tradizionali colloqui anche se docenti e genitori si trovano fisicamente in città diverse; SharePoint Online (applicazione presente su Office 365) che consente di condividere e modificare in tempo reale i documenti scolastici digitalizzati; Lync, strumento di comunicazione per docenti (che possono ad esempio svolgere il consiglio di classe anche a distanza) e ponte con le famiglie (tramite l'integrazione con Skype).

Samsung e la lavagna del futuro. Ma se Microsoft ha gettato nella mischia tante risorse diverse tra loro, Samsung non è da meno. L'azienda sudcoreana ha da tempo avviato programmi d'innovazione scolastica. Dapprima iniziando a vendere il proprio 'sistema integrato' agli istituti; poi, riscontrato il successo del prodotto e l'elevata richiesta da parte delle scuole pubbliche (quelle, cioè, con possibilità di spesa praticamente pari allo zero), con il lancio di un progetto 'aperto' che prevede il sostegno di Samsung a scuole in difficoltà o che presentino determinate caratteristiche. Tutto nasce nel 2012 con 'Samsung Smart School', la soluzione pensata e progettata per la scuola, che ha attratto l'attenzione di molti istituti italiani (più che altro privati) e riempito le loro classi con strumenti tecnologici innovativi. Non solo tablet, in dotazione a ogni alunno o software studiati ad hoc. Perché la novità proposta da Samsung si chiama E-Board, la lavagna del futuro. Grazie a questo strumento didattico, comandabile da un computer o da qualsiasi dispositivo mobile, il docente può infatti organizzare delle vere e proprie lezioni multimediali, con la possibilità di far vedere oltre alle pagine di e-book anche testi, slides, filmati, contributi audio, schede multimediali, contenuti interrativi pescati in rete o scaricati da app dedicate. L'insegnante, inoltre, attraverso il suo tablet potrà 'dialogare' con i singoli dispositivi: caricare i contenuti delle lezioni, condividerli con gli studenti, realizzare attività di gruppo, proporre questionari e verifiche (personalizzabili alunno per alunno) per verificare la comprensione degli argomenti trattati. Consentendo di monitorare il livello d'apprendimento di ognuno, modulare il programma e gestendo in maniera 'remota' il lavoro della classe: permettendo o vietando l'accesso a determinati contenuti, forzando o inibendo le applicazioni a disposizione, aprendo o meno la possibilità di navigare in internet, spegnendo tutti i dispositivi quando non è necessario tenerli accesi a fini didattici. Strumenti cui si affianca la piattaforma Samsung Learning Hub attraverso cui accedere a contenuti digitali sviluppati assieme a partner specializzati e studiati espressamente per la scuola.

Ma, come detto, nell'ultimo anno l'impegno di Samsung si è orientato anche verso chi non potrebbe permettersi il suo 'ambiente' educational. Così, a giugno del 2013, vede la luce Smart Future, partito come progetto pilota durante l'anno scolastico in corso. In realtà rappresenta un ulteriore passo in avanti; l'obiettivo è, infatti, favorire la digitalizzazione dell'istruzione anche in Italia partendo da un processo di formazione indirizzato prima ai docenti e, in seconda battuta, agli studenti e alle loro famiglie. Stimolare la produzione e l'utilizzo di contenuti digitali personalizzati e personalizzabili, per allargare gli orizzonti delle nostre scuole. Per questo Smart Future prevede non solo la dotazione delle classi ma anche la realizzazione di training specifici rivolti a maestri e professori, con l'intento di migliorare le modalità di insegnamento, per avere sempre più confidenza con la multimedialità. Grazie all'Osservatorio sui media e i contenuti digitali nella scuola dell'Università Cattolica di Milano sono stati individuati i criteri di selezione delle scuole 'pioniere': in primis l'alto numero di alunni con disabilità e la forte incidenza di ragazzi con disturbi dell'apprendimento, senza trascurare i territori socialmente e culturalmente disagiati e i piccoli paesi. Venticinque le classi d'Italia (distribuite in 7 regioni: Lombardia, Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo, Lazio, Puglia) che stanno già sperimentando Smart Future; ma è già pronto un bando per tecnologizzare altre 50 classi entro l'inizio del prossimo anno scolastico; con l'obiettivo di raggiungere più di 300 scuole entro la fine del 2015. E per il futuro già si parla di una partnership con Google per sviluppare programmi, applicazioni e contenuti per la scuola da gestire attraverso il market online.

Apple e il suo 'ecosistema di contenuti'. Diversa, invece, la mission di Apple. Fondamentale, nella sua visione, è il cambio di mentalità; la 'cultura 2.0'. Non basta, infatti, possedere gli strumenti hardware per essere 'digitalizzati'; è necessario, al contrario, prima 'educare' insegnanti, studenti e genitori sull'importanza del passaggio alla multimedialità. Adottare le nuove tecnologie deve essere una scelta consapevole che presuppone la conoscenza di cosa si andrà a fare con i dispositivi fissi e portatili. A Cupertino ne sono fermamente convinti: iPad in classe vuol dire soprattutto un'offerta internazionale di contenuti adeguati alle nuove modalità di fruizione ed erogazione di contenuti didattici; per questo hanno puntato tutto sul software. Un 'ecosistema di contenuto'; Apple ama definirlo così: una gigantesca mole di applicativi per la fruizione e trasmissione del sapere. Tre i principali strumenti per la scuola: iBooks Store, iTunes U e le App educational.

Molti la conoscono come la biblioteca online di iTunes dove leggere i libri acquistati e scaricati, ma iBooks è anche un ottimo strumento didattico grazie alla presenza di testi scolastici: libri multi-touch dinamici, coinvolgenti, interattivi e sempre aggiornati. Ciò consente agli studenti di sfogliare i testi, svolgere esercizi ma anche di guardare gallerie fotografiche, animazioni, filmati. Un patrimonio di circa 25mila libri di testo, sviluppati da editori indipendenti, insegnanti e istituti didattici disponibile in 51 Paesi del mondo (Italia compresa). Nel nostro Paese, ad esempio, la sezione è stata inaugurata dal catalogo di Centro Leonardo, un editore che ha sempre lavorato sui contenuti digitali. Ma iBooks vuol dire anche Author; uno strumento pensato per i professori e da questi ulteriormente sviluppabile. Il docente può, infatti, non solo sfruttare le risorse già presenti in catalogo ma crearne delle nuove, in base alle esigenze dei propri alunni; un materiale personalizzato che, però, può essere messo a disposizione dell'intera community Apple; non più solo dispense ma un libro vero e proprio. È il caso di due insegnanti dell'Istituto Salesiano di Castelnuovo Don Bosco, specializzato in scienze enologiche, che hanno creato il libro "Conoscere il Vino" oppure dell'Istituto Majorana di Brindisi che ha usato Author per dare una forma digitale a un progetto 'cartaceo' di materiali integrativi per la didattica.

C'è poi iTunes U, l'app per iOS che apre agli studenti le porte del mondo accademico mondiale, delle scuole più prestigiose, degli istituti più autorevoli. Gratuitamente e rimanendo fermi davanti lo schermo del proprio dispositivo. In iTunes U oltre 1200 università e college e altrettanti distretti d'istruzione primaria hanno 'caricatò corsi pubblici e privati e dispense su materie come arte, scienza, medicina e benessere, economia. Nel 2013 sono stati oltre un miliardo i download effettuati (più del 60% da Paesi diversi dagli Stati Uniti, tra i 155 collegati alla rete iTunes U). Un successo, visto che attualmente ci sono corsi con più di 250mila studenti iscritti (come quello di programmazione della Stanford University o, per restare in Italia, quello offerto dall'Università di Pisa; anche se il primo ateneo italiano a sbarcare su iTunes U è stata l'Università Federico II di Napoli nel 2007). Ma iTunes U è anche Course Manager, lo strumento basato sul web che permette ai docenti di creare, gestire e distribuire i propri corsi (compiti a casa compresi) condividendoli con tutti gli studenti che lavorano in ambiente Apple (non solo con i propri); potendo aggiungere alle lezioni anche contenuti multimediali (pagine internet, libri digitali, applicazioni) per condividere i saperi e contribuire alla creazione della conoscenza globale (all'Istituto De Amicis di Milano, ad esempio, già lo usano per gestire i corsi, il piano didattico, le verifiche).

C'è infine l'App Store dove, tra le oltre 500mila applicazioni native per i tablet Apple, si possono trovare ben 75mila software 'educational'; si passa da quelle create per la didattica, per gestire contenuti o caricare video-lezioni per la classe, a quelle adottate dai professori perché permettono di far diventare interattivi argomenti fino ad oggi cristallizzati sulle pagine dei libri di testo, dall'astronomia alla geografia, dall'anatomia alla matematica.

mercoledì 12 febbraio 2014

Un risciò guidato da un robot

Il quarantottenne Wu Yulu ha un hobby molto particolare: costruisce robot. I più curiosi sono probabilmente i robot che guidano (anche) un risciò.
I robot costruiti dall’uomo sono piuttosto semplici, ma non per questo banali, e ciascuno può compire semplici azioni. Wu Yulu spiega che fin da bambino è stato affascinato dalla meccanica del movimento e il suo sogno è sempre stato quello di costruire macchine che camminassero come le persone.


unoi dei risciò costruiti da wu yulu


Oggi l’uomo, che per vivere fa il contadino, vede riconosciuto il suo sforzo, con diversi premi: Wu Yulu è stato anche invitato a esporre le sue realizzazioni all’Expo di Shanghai del 2010. Ma non è sempre stato semplice. La sua passione, che coltiva dal 1986, lo ha portato ad indebitarsi e anche a rischiare di mettere fine al suo matrimonio: la moglie infatti stava per lasciarlo dopo che lavorando ad uno dei suoi robot ha causato un incendio che ha distrutto la casa dove vivevano.

Studenti italiani sempre più telematici: il 2% sono studenti online

Le università telematiche, pur con alcune critiche e le polemiche che in qualche caso hanno circondato alcune di queste, è un fenomeno sempre più in crescita, anche grazie alla sempre maggiore selezione delle Università e della qualità dei corsi, oltre che alle nuove tecnologie che permettono una maggiore efficacia didattica rispetto a dieci anni fa.
Gli studenti online oggi rappresentano il 2% del totale degli iscritti all’Università in Italia, una percentuale sicuramente minoritaria ma non trascurabile, specie rispetto al dato complessivo delle università pubbliche italiane, che segnano un -17% nelle iscrizioni, il numero degli studenti che scelgono l’insegnamento a distanza è passato dai 1.500 del 2003 ai 39.792 del 2013, con un aumento medio annuo del 16%. A rivelarlo è l’indagine condotta dall’ Università Telematica “Niccolò Cusano” di Roma, fondata nel 2006 e oggi al primo posto fra le strutture riconosciute dal Miur per numero di laureati e attività didattiche proposte.
Tra i fattori che hanno influito sulla crescita delle università online il primo è indubbiamente il risparmio: frequentare un corso di laurea triennale a distanza permette, infatti, di azzerare o quasi i costi relativi al materiale didattico, ai trasporti e all’alloggio anche se a fronte di una retta leggermente più alta rispetto alle università private “offline” (almeno, rispetto a quelle più economiche).
Il secondo è la maggiore flessibilità dei corsi: non a caso gli studenti delle università telematiche sono per la maggior parte uomini di età compresa fra i 23 e i 40 anni, specie lavoratori, che se da un lato sono desiderosi di specializzarsi non possono frequentare dei corsi tradizionali.


“Figuraccia” di una ricercatrice: crede di avere inventato una formula che esiste da secoli

E’ normale che una persona non sappia tutto, anche quando si tratta di un ricercatore: inevitabilmente, si conosce approfonditamente il proprio campo e solo di sfuggita quelli diversi, anche se magari collegati. Ma quando si “reclama” una scoperta bisogna però essere attenti, altrimenti si rischiano "figuracce" come quella fatta da una ricercatrice newyorkese che ha sviluppato un “metodo matematico per determinare l’area sottostante alle curve degli studi metabolici”, che ha anche pensato di battezzare con il suo nome.

prima di pubblicare un nuovo metodo matematico verificatelo con un matematico

Il problema, ha ironizzato qualche collega universitario, è che se una sviluppa un metodo matematico per fare qualcosa di così basilare come individuare l’area sottostante una curva, sarebbe bene che lo facesse vedere a qualche matematico prima di pubblicarlo come una personale scoperta.
Un matematico infatti la avrebbe avvistata che la sua idea, approssimare la curva con degli insiemi di rettangoli, era sicuramente molto buona: però è anche uno dei procedimenti fondamentali dell’integrazione numerica, che si studia alle superiori, ed in matematica è chiamata "regola del rettangolo", oltre ad essere nota da centinaia di anni.